Mario Disetti non è solo il capitano della Prima Squadra del Rugby Club Valpolicella, storica società sportiva con sede a San Pietro in Cariano, ma è anche preparatore atletico, coach e insegnante di educazione motoria in alcuni istituti del veronese.
Il centro del Santamargherita ci racconta tutto in questa chiacchierata, insieme a qualche curiosità e dettagli sul suo percorso lavorativo nel mondo dello sport.
Allora Mario, partiamo da un bilancio della stagione passata: com’è andata?
Direi che il nostro percorso è andato di pari passi a quelli che erano i nostri obiettivi: passare nella Poule Promozione, giocarci in maniera molto aperta le partite con Petrarca e Noceto e fare delle buone prove casalinghe contro Verona, Colorno e Valsugana. Forse con Colorno abbiamo commesso qualche errore di troppo, ma abbiamo comunque lottato fino alla fine, così come nell’ultimo derby giocato a Parona, dove abbiamo dimostrato di meritarci il girone, eventualmente anche per il prossimo anno. Sono quindi pienamente soddisfatto del nostro cammino fino qui.
Avete già in mente qualche nuovo traguardo per il prossimo anno?
Dato che nella prossima stagione ci sarà la reintroduzione della retrocessione penseremo sicuramente a conquistare la salvezza il prima possibile. Poi, se tutto va come deve andare, daremo battaglia per restare nella parte alta della classifica.
Parliamo un po’ di te. Quando e come sei entrato nel mondo della palla ovale?
Ho iniziato a 14 anni, grazie a mio cugino che giocava nella squadra appena nata in Valcamonica, a Brescia e avendo avuto qualche piccola delusione nel mondo del calcio ho deciso di provare. La partenza è stata però in salita, un po’ perché non è una disciplina semplice, un po’ perché nell’ambiente erano tutti molto più grandi di me. Però, piano piano, mi sono ritagliato il mio spazio e ho iniziato ad appassionarmi sempre di più e non mi sono mai fermato. Prima mi sono spostato in varie realtà nella provincia di Brescia, poi ho seguito un percorso legato all’università e nel 2015 sono approdato in Valpolicella.
Hai un idolo sportivo?
Non ne ho uno solo di riferimento, più che altro mi piace prendere caratteristiche di vari atleti, che poi magari non sono i top nella loro disciplina, ma sono sportivi che per me hanno comunque una marcia in più. Per esempio, in ambito rugbistico quasi tutti hanno come punto di riferimento Richie McCaw, Dan Carter, Jonny Wilkinson, delle vere star. Invece a me è sempre piaciuto Rocki Elsom, un australiano che faceva di tutto per fare e mostrare qualcosa in più rispetto alle sue doti.
Per te lo sport non è solo una grande passione, ma anche un lavoro, ottenuto grazie alla Laurea in Scienze Motorie. So che sei particolarmente attivo nelle scuole, sia con attività legate al Valpolicella Rugby, sia con il progetto di avviamento ed educazione motoria del Coni. Dato che sei a stretto contatto con i ragazzi, credi che l’attività sportiva che praticano all’interno degli istituti sia sufficiente?
No, per nulla. Servirebbero anche 3 ore di educazione di fisica alla settimana, prima di tutto perché oggi bambini e adolescenti si muovono molto meno rispetto a qualche anno fa. E poi noto che sta scomparendo la capacità di rimanere uniti, di fare gruppo e di relazionarsi agli altri, di stare assieme. Questa è una di quelle cose che viene insegnata proprio dallo sport, ma non inteso come attività agonistica, ma come pure e semplice gioco fine a sé stesso, che è il primo vero fattore aggregante.
Svolgi anche il ruolo di allenatore all’interno della scuola calcio Gli Insuperabili, un team formato da ragazzi con vari gradi di disabilità. Quali sono le difficoltà e quali gli aspetti positivi?
Tra le difficoltà c’è sicuramente il capire se ciò che viene proposto ai vari atleti possa andare bene per tutti. A volte servirebbe cercare di rendere tutto molto più semplice e maggiormente legato alle reali necessità di ognuno. Però, la cosa più bella, è vedere come loro apprezzino tutto, affrontando ogni cosa con entusiasmo dieci volte maggiore rispetto a ragazzi normodotati e questi li porta a dei grandi miglioramenti dal punto di vista cognitivo e coordinativo.
Ultimissima domanda: perché consiglieresti a qualcuno di cominciare a giocare a rugby?
Uno dei pregiudizi più grandi su questo sport è che sia violento e che ci si faccia del male. Invece a me ha insegnato a essere più disciplinato, a rispettare le regole e a mantenere un certo tipo di atteggiamento. Forse non sono cose che si capiscano da subito, ma crescendo e maturando tutto questo viene naturale. Il rugby mi ha trasmesso tanto, ha forgiato il mio carattere e mi ha influenzato nel mio modo di essere attuale.
Da Ovale Gialloblu – Sportdipiù Maggio/Agosto