L’ultima volta che il nuovo allenatore del Santamargherita Mirco Bresciani si è seduto su una panchina giallorossa, è stato dal 2008 al 2012 alla guida della Seconda Squadra. Quattro stagioni, una promozione in Elite (2009/2010) e un primo posto (2011/2012), ma soprattutto quattro stagioni in cui, grazie all’aiuto di Mirco Carraro (anima della seconda squadra), il secondo quindici Seniores ha assunto una propria identità di gioco, conoscendo un nuovo modo di giocare ma soprattutto pensare il rugby. Abbiamo parlato di quelle stagioni con Marco Favett
a e Lorenzo Valli, per tanti anni capitani della Seconda Squadra.
Come è cresciuta grazie a Mirco Bresciani la Seconda Squadra?
MF: Ricordo bene gli inizi della seconda squadra con le parole del nostro primo grande allenatore Mirco Carraro: “Un giorno il presidente mi ferma e mi da una lista di nomi dicendomi: “tieni c’è da fare una seconda squadra qui al Valpo, pensaci tu” “. La nostra filosofia è sempre stata quella di divertirci raggiungendo lo scopo principale: giocare a rugby. Il salto di qualità soprattutto mentale, è però giunto proprio con l’arrivo di Mirco Bresciani.
LV: Bresciani ha trasformato un gruppo di amici con la passione del rugby in una squadra. Ci ha fatto conoscere un nuovo modo di giocare: organizzato, fatto di sostegno e ripartenze. Alta intensità ad alto livello come è ormai necessario nel rugby moderno. Questo nuovo modo di giocare ci ha portato a lottare quasi sempre nelle primissime posizioni in tutti i campionati disputati dal suo arrivo.
Come è cambiato in quelle stagioni il tuo modo di pensare il rugby?
MF: Abbiamo imparato ad amare se possibile ancora di più il rugby, a capirne le sfumature ed i significati più profondi. Ricordo che le lunghe trasferte nei luoghi più remoti del Triveneto erano sempre accompagnate dalla visione di una partita di alto livello che “coach Bresciani” pescava nel suo archivio storico. Le sue analisi del nostro modo di giocare, poi, erano sempre finalizzate alla crescita della squadra, anche dalla più bruciante delle sconfitte c’era sempre qualcosa da imparare così come dopo la vittoria più gratificante la pagina degli errori aveva sempre numerose voci da chiarire. Tutto ciò avveniva in un clima rigoroso, ma sempre sereno e positivo.
LV: Mirco ha sempre predicato il rispetto dei compagni, dell’avversario, dello staff e in generale del lavoro che si stava svolgendo. Con lui si ha avuto la coscienza di essere parte di un gruppo, e quindi bisognava rispettare i tempi e i modi delle regole che ci siamo dati. Chi non rispettava questo era libero di andarsene….
Quale il merito più grande negli anni di gestione?
MF: Riuscire a traghettare non solo la squadra ma anche tutto lo staff ed il nostro rapporto con la società ad un livello più alto, più vicino per quanto possibile al mondo anglosassone di cui è profondo conoscitore grazie alle sue esperienze ed ai contatti con l’estero. Questo però senza mai rinnegare lo spirito del Valpolicella, quella strana alchimia che è il motore principale di questo Club.
LV: Ricordo ancora quando ho appreso la notizia che mi avrebbe allenato lui: era fine luglio, ero in vacanza e la Fiore (la nostra dirigente che ci coccolava ed aiutava come una madre) mi ha chiamato dicendo che avrei avuto un allenatore di serie A. Io lo conoscevo per il buon ricordo che aveva lasciato in Valpo anni addietro, ma dopo l’euforia iniziale avevo dubbi sulla sua capacità di passare da una squadra professionistica o quasi ad una amatoriale, fatta di gente che rugbysticamente parlando era molto giovane e che militava in un campionato di serie C. Tutti i miei dubbi sono stati fugati: il suo più grande merito è stato adattarsi molto velocemente alle persone che aveva di fronte, motivandole, spronandole, dandogli la voglia di venire ad allenare dopo 10 ore di lavoro…
Come ha cambiato la mentalità dei giocatori?
MF: Questa è stata, a mio parere, la sua più grande dote. Riuscire a scovare e a valorizzare le qualità nascoste in ogni giocatore, e farle rendere al meglio. Ho visto giovani insicuri ed indecisi diventare uomini nel giro di una stagione, ragazzi un po’ allo sbando trovare la retta via e sfruttare al meglio il loro talento, ragazzi più pigri e maturi invogliati a far emergere tutto il loro potenziale inespresso. Prova ne è che molti dei giovani che, durante la sua guida, si sono avvicinati al rugby da mondi diversi e lontani, ora sono degli affermati giocatori di serie A.
LV: L’ultima stagione prima di lui è stata molto dura, complicata sotto tanti aspetti, ma il gruppo storico si è rinforzato sotto il piano delle amicizie. Mirco ho trovato un gruppo di amici molto affiatato ma un po’ depresso sul piano del gioco. Lui ha rinforzato ancora di più il primo aspetto e ribaltato il secondo. Ha portato una mentalità vincente, votata al lavoro duro ma con il sorriso. Allenamenti durissimi ma nessuno mollava un centimetro, sana rivalità tra i giocatori per portare a casa alla domenica la maglia da titolare. Ha portato la ‘fame’ di voler essere protagonisti la domenica.
Che ricordo ha lasciato in te e, per quanto hai percepito, nella squadra?
MF: Personalmente ha lasciato un ricordo indelebile come allenatore ma soprattutto come persona e come amico. Per quanto riguarda la squadra anche negli anni successivi alla sua gestione ho spesso sentito nominare il nome di Mirco Bresciani, sia in campo che fuori, ed è sempre avvenuto con il massimo rispetto e stima, prova inequivocabile che chi semina bene raccoglie buoni frutti.
LV: Personalmente mi ha lasciato un buonissimo ricordo, una persona con cui si può piacevolmente confrontarsi sia di rugby che di temi più seri. Anche chi come ha avuto la possibilità di conoscerlo vedo che non perde mai l’occasione di andare a scambiare quattro battute con lui. Ritengo anche che la cosa sia reciproca in quanto appena possibile Mirco passava a trovarci e a vederci giocare.